Mondo

Guerra in Ucraina: gli obbiettivi di Mosca

di Giorgio Da Gai

Per noi Occidentali la tragedia ucraina è soprattutto una partita a Risiko, uno spettacolo al quale assistere seduti in poltrona scegliendo da che parte stare; oppure, una passerella per politici, persone dello spettacolo e intellettuali. Alcuni onesti e competenti, altri faziosi e incompetenti, questi ultimi sono la maggioranza. Qualcuno assisterà i profughi in maniera disinteressata, animato dai migliori sentimenti; altri, lo faranno per ottenere fama e consenso, o per saziare il loro ego ipocrita buonista. Per gli ucraini questo conflitto è rabbia, paura, dolore e morte; come lo è per chi soffre e combatte dalla parte opposta, i soldati russi, le loro famiglie e la popolazione filorussa del Donbass.

In Europa e negli Stati Uniti dalla caduta dell’Unione Sovietica non si respirava un clima di così forte e diffusa russofobia ai limiti dell’isteria. I principali rappresentanti dei partiti, delle istituzioni, dei mass media descrivono l’invasione russa dell’Ucraina come una guerra di aggressione, da punire con pesanti sanzioni economiche e con la fornitura di armi a Kiev. In Italia sono poche le voci fuori dal coro. Nel mondo della politica, dell’informazione e della cultura regnano conformismo e disinformazione. Questo ci impedisce di capire quali siano i nostri interessi e le reali intenzioni di Mosca.

Comprendo la russofobia di baltici, polacchi e ucraini che hanno subito sulla loro pelle la violenza dell’oppressione sovietica e gli anni duri della dittatura comunista. Per gli ucraini detta oppressione assunse la forma del genocidio. L’Holodomor (1932-1933) il genocidio ucraino provocato dalla politica di Stalin: lo sterminio e deportazione dei Kulaki, la collettivizzazione delle terre e la requisizione delle derrate alimentari. Tale politica privò la popolazione ucraina dei mezzi di sostentamento, provocando la morte di milioni di persone per fame e per malattie. La storia è come l’acqua, scorre ma lascia il segno; condiziona le scelte presenti e future di una nazione, il destino di un popolo.

Non comprendo la russofobia diffusa in Occidente. I tempi sono cambiati è scomparsa l’Unione sovietica, la Russia non è più nelle condizioni di espandersi in Asia e in Europa. La Russia non è per noi europei una minaccia ma una risorsa: un ottimo partner commerciale per le nostre esportazioni e per la fornitura di energia; un indispensabile interlocutore in materia di sicurezza, dalla lotta al terrorismo islamico alla risoluzione dei conflitti internazionali (Ucraina compresa); un potenziale alleato per contenere l’espansione della Cina. Pechino e Mosca sono due nazioni potenzialmente antagoniste; perché si contendono la stesse aree d’influenza, l’Asia centrale e l’Europa continentale. La nostra russofobia le ha unite in un fronte comune. Che errore.

Vediamo quali sono le ragioni di Mosca e cosa si prefigge con l’invasione dell’Ucraina.

Putin non intende occupare l’intera Ucraina e annetterla alla Federazione Russa come ha fatto con la Crimea nel 2014. Per la Russia sarebbe un errore occupare un Paese: che è il doppio dell’Italia, tra i Paesi più poveri dell’Europa, è abitato da una popolazione in maggioranza ostile a Mosca, è sostenuto militarmente e politicamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Una potenziale trappola stile “Afghanistan”, non credo che Putin e i suoi collaboratori siano così stupidi. Putin con l’invasione dell’Ucraina si gioca il suo futuro politico e quello della Russia.

Mosca vuole prendere il controllo e consolidare il potere in Ucraina orientale e impedire che l’Ucraina entri nella Nato, che la Russia percepisce come minaccia alla propria sopravvivenza e indipendenza. L’Ucraina orientale è la parte del Paese, dove è concentrata la maggioranza della popolazione filorussa ed è strategica per gli interessi di Mosca: la Crimea con l’area adiacente alla stessa, qui scorre il canale Nord Crimea indispensabile per il rifornimento idrico della penisola; la città Mariupol sul mare di Azov, essenziale per la creazione di un corridoio terrestre che unisca la Russia con la Crimea; il Donbass, la regione secessionista e filorussa. La capitale Kiev è messa sotto assedio perché sede del potere politico e militare ucraino. Forse l’offensiva russa si spingerà fino a congiungere i territori filorussi dell’Ucraina orientale con la Transnistria, enclave russa in territorio moldavo, tutto dipenderà dai risultati sul campo di battaglia. Mosca ha adottato la strategia dell’offensiva lampo perché i costi politici ed economici di una guerra protratta nel tempo sarebbero difficili da sostenere.

In Europa la geopolitica russa non è cambiata dai tempi dello Zar, ha sempre avuto come limite di espansione la Bielorussia, l’Ucraina e i Paesi Baltici. Questa è la “profondità strategica” della Russia, lo spazio geografico utile per tenere lontano dai propri confini ogni nemico o potenziale nemico. I russi si sono spinti a Berlino occupando i Paesi dell’Europa dell’Est, non per le velleità imperiali dell’Unione Sovietica; ma come reazione alla guerra di colonizzazione e di sterminio scatenata dalla Germania nazista. Una guerra che provocò all’Unione Sovietica circa venti milioni di vittime in prevalenza civili, otto milioni nella sola Ucraina e nell’attuale Bielorussia un quarto della popolazione fu sterminata. I russi hanno imparato dalla storia che la minaccia principale alla sopravvivenza della loro nazione arriva da Ovest: prima le armate napoleoniche e poi quelle naziste. Guerre patriottiche combattute contro un invasore che minacciava la Russia e il suo popolo.

Putin ha scelto l’intervento militare perché non ha potuto ottenere diplomaticamente la neutralità dell’Ucraina; e perché sicuro che Stati Uniti ed Europa non avrebbero inviato le loro truppe a difendere Kiev e l’Europa non avrebbe rinunciato al gas russo imponendo pesanti sanzioni. Si sbagliava? Lo vedremo.

L’invasione russa è partita dai territori controllati da Mosca e dai Paesi alleati della stessa: dalla Bielorussia e dalla Crimea in mano russa dal 2014. Contemporaneamente si è riacceso il conflitto nelle autoproclamate repubbliche del Donbass. L’offensiva russa fa uso dell’aviazione e dall’artiglieria (mezzi corazzati e missili) per infliggere pesanti perdite al nemico e notevoli danni alle infrastrutture militari e civili (ponti, strade, aeroporti, ferrovie, acquedotti, ecc.). Un’offensiva che come in tutte le guerre miete vittime anche tra la popolazione.

Prima di demonizzare la Russia, l’ipocrita Occidente (Stati Uniti ed Europa) dovrebbe fare un esame di coscienza sullo scopo e sulle conseguenze della propria politica internazionale. Per gli occidentali le vittime dell’Ucraina filo russa come e quelle delle sue “crociate umanitarie” è “carne di porco”.

L’ipocrita Occidente si scandalizza perché la Russia fa uso di ordigni micidiali come le bombe a grappolo e quelle termobariche (le più potenti dopo di quelle nucleari); ma dimentica le migliaia di bombe all’uranio impoverito che ha versato nei Balcani e in Iraq. Nelle zone contaminate la leucemia è diventata un’epidemia. Ne hanno pagato le conseguenze anche i nostri soldati che hanno operato nelle zone di guerra contaminate (vedi il Kosovo e la Bosnia).

L’ipocrita Occidente piange le vittime dell’offensiva russa e invoca sanzioni draconiane contro Mosca; ma dimentica che dal 2014 sono state oltre 14 mila le vittime nel filorusso Donbass, di queste oltre 9000 erano civili massacrati dai bombardamenti dall’artiglieria ucraina; dall’inizio dell’invasione russa, oltre 16 mila persone sono fuggite dal Donbass per trovare rifugio in Russia. Come dimentica le vittime della strage di Odessa (2 maggio 2014) 42 morti (34 uomini, 7 donne e un ragazzo di diciassette anni) simpatizzanti filo-russi che avevano trovato rifugio nella Casa dei Sindacati, per sfuggire alle violenze degli estremisti ucraini; bruciarono in un rogo provocato dal lancio di bottiglie molotov che questi estremisti avevano lanciato.

L’ipocrita Occidente scorda le migliaia di vittime delle sue guerre imperialiste camuffate da crociate umanitarie (la difesa della pace, dei diritti umani e la lotta al terrorismo): il Kosovo (1999) l’invasione dell’Iraq (2003) e dell’Afghanistan (2001) l’intervento in Libia (2011) fino al fallito tentativo di rovesciare Assad in Siria (2011). Questi conflitti devastarono interi Paesi, provocando migliaia di vittime tra la popolazione civile, la diffusione del terrorismo internazionale (il sedicente Califfato) la migrazione di milioni di profughi con ampi profitti per la criminalità organizzata. Profughi che si riversano in Europa, in particolare in Italia che ne è il ventre molle.

L’ipocrita Occidente condanna Mosca per aver riconosciuto le Repubbliche del Donbass; ma nel 2008 riconobbero l’indipendenza del Kosovo dopo aver bombardato il Kosovo e la Serbia. Gli albanesi del Kosovo impugnarono le armi contro la Serbia; come i filo russi del Donbass contro l’Ucraina, ambedue volevano l’indipendenza da una nazione ritenuta ostile. Ne seguì un conflitto deciso dai devastanti bombardamenti della Nato che provocarono circa 500 vittime in prevalenza civili e costrinse le truppe serbe e la popolazione serba ad abbandonare il Kosovo. Ora nel Kosovo controllato dagli albanesi rimangono poche migliaia di serbi asserragliati in enclave simili a ghetti.

È semplicistico definire l’invasione russa dell’Ucraina come una guerra di “aggressione”. L’invasione russa è la risposta di Mosca all’allargamento a est della Nato iniziato nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. La Russia ritirò le proprie truppe dai Paesi del disciolto Patto di Varsavia e quindi dall’Europa, sperando che la Nato non sarebbe penetrata nell’ex spazio sovietico fino a cingerla d’assedio. Le cose andarono diversamente, dal 1999 al 2020 la Nato si espanse a est inglobando ben 14 Paesi dell’Europa Orientale, giustificando tale ampliamento con la necessità di proteggere queste nazioni dalla minaccia russa. In tali Paesi la Nato dislocò le proprie truppe e installò le proprie basi missilistiche sempre più vicino ai confini russi con lo scopo di stringere la Russia in una morsa mortale. La Russia teme che in Ucraina sorgano basi come quelle di Deveselu in Romania o di Redzikowo in Polonia, da cui gli americani potrebbero lanciare a sorpresa i loro missili a medio raggio dotati anche di testate nucleari e colpire il suolo russo senza che la contraerea russa possa abbatterli.

L’espansione a est della Nato giustificata dalla necessità di sicurezza ha in realtà generato insicurezza e conflitti dagli esiti imprevedibili come quello ucraino. Un’alleanza militare come il Patto Atlantico, fondata sulla reciproca difesa, produce pace e sicurezza solo se limitata a pochi Paesi e uniti da interessi comuni; se estesa a un numero elevato di Paesi aumentano le possibili aree di crisi (la Nato che si spinge in prossimità dei confini russi) e diviene impossibile elaborare una strategia comune per i diversi interessi in gioco (Paesi russofobi contro Paesi russofoni).

Chiedetevi quale sarebbe la reazione degli Stati Uniti, se oggi un Paese considerato ostile come la Russia, la Cina, l’Iran o la Corea del Nord; schierasse le proprie truppe e basi missilistiche sui confini americani: in Canada, in Messico o a Cuba? La risposta è nella storia anche se con i dovuti distinguo. Nel 1963 la Crisi di Cuba portò il Mondo sull’orlo di un conflitto nucleare. Come oggi, durante la Guerra Fredda, Russia (allora Unione Sovietica) e Stati Uniti erano in conflitto. Cuba dopo la fallita invasione americana della Baia dei Porci (1961) concesse all’Unione Sovietica la possibilità di installare i propri missili balistici sull’isola per impedire future invasioni. Era l’occasione che Mosca aspettava per schierare i propri missili a ridosso delle coste americane. Era la risposta sovietica ai missili balistici Jumpter schierati dagli Stati Uniti in Turchia, in Italia e in gran Bretagna. Gli Stati Uniti costituirono un blocco navale per impedire che altri missili potessero giungere a Cuba, annunciando che non ne avrebbero consentito l’arrivo di altri e chiesero che quelli presenti sull’isola fossero smantellati e restituiti all'Unione Sovietica. Mosca fu costretta a cedere alle richieste americane per evitare uno scontro dagli esiti imprevedibili; come contropartita ottenne l’impegno americano a non invadere nuovamente Cuba e lo smantellamento dei missili in Turchia e Italia.

L’espansione a Est della Nato è parte di progetto totalitario iniziato con la dissoluzione dell’Unione sovietica. Gli Stati Uniti vincitori della Guerra Fredda si trovarono a essere l’unica superpotenza mondiale. Consapevoli di questa vittoria cercano di costruire un mondo unipolare asservito ai loro interessi e conforme ai loro valori. Un progetto totalitario e sostanzialmente razzista che cercano di realizzare con le guerre “umanitarie” prima descritte o con le “rivoluzioni colorate”: la Georgia con la rivoluzione delle rose (2003) l’Ucraina con la rivoluzione arancione (dicembre 2004 - gennaio 2005) e con quella del 2014, il Kirghizistan con la rivoluzione dei tulipani (2005) in Bielorussia con le proteste per rovesciare il presidente filorusso Aleksandr Grigorievich Lukashenko (2004 - 2005). Proteste, anche violente provocate sfruttando le divisioni etniche e il malcontento popolare, con lo scopo di rovesciare governi ritenuti ostili ai valori e agli interessi americani. Un’opera di destabilizzazione che gli Stati Uniti attuano sia direttamente, attraverso il Congresso (fondazioni di parte democratica o repubblicana) e il Dipartimento di Stato; sia indirettamente, con fondazioni private come l’Open Society del miliardario statunitense George Soros.

Gli Stati Uniti alimentano e traggono profitto dalle tensioni tra Russia ed Europa, perché questo stato di guerra permanente giustifica la loro presenza militare sul nostro continente e contiene la concorrenza delle economie europee. Finché la Russia sarà considerata un nemico dall’Europa, gli Stati Uniti potranno condizionare la nostra politica estera verso Mosca; inoltre, le economie europee non potranno beneficiare dello scambio commerciale con la Russia.

La guerra con la Russia danneggia gli interessi dell’Europa non degli Stati Uniti. Le sanzioni che l’Italia ha inflitto alla Russia per l’annessione della Crimea e che infliggeremo per l’invasione dell’Ucraina, si abbatteranno sulle nostre imprese e sulle nostre famiglie, perché la nostra economia è molto legata a quella russa: per le esportazioni (agroalimentare, abbigliamento, macchinari, ecc.) e per l’importazione delle fonti energetiche (oltre il 40% del gas che arriva in Italia proviene dalla Russia). Le sanzioni alla Russia favoriscono gli Stati Uniti nazione autosufficiente come fabbisogno energetico e con un export verso la Russia molto contenuto. Degna di nota è la questione del Nord Stream 2, il gasdotto (pronto all’uso ma fermo per questioni burocratiche) doveva raddoppiare la quantità di gas russo proveniente in Europa, con enorme beneficio per il caro bollette delle nostre famiglie e delle nostre imprese. Gli Stati Uniti hanno sempre ostacolato la creazione di quest’opera perché vogliono che l’Europa dipenda dalle loro forniture di gas liquefatto. Gas ottenuto con la tecnica della frantumazione delle rocce bituminose (fracking) più caro di quello russo e con un maggior impatto ambientale. Alla faccia della transizione verde e di Greta Thunberg, con gli allocchi dei gretini che sfilano contro Putin.

Gli Stati Uniti sono i meno esposti anche alle conseguenze di uno scontro militare con la Russia, un conflitto, dove non si può escludere l’uso di armi nucleari tattiche. In tale ipotesi l’Europa sarà in prima linea, con l’Italia in particolare. Nessuna delle parti vuole arrivare a tanto per le conseguenze devastanti; ma è impossibile escluderlo a priori. Putin già ha messo in stato di allerta la forza di deterrenza, armi nucleari comprese. Speriamo che questa sia solo una mossa per dare maggiore peso alle richieste di Mosca in sede di trattative.

Russi e ucraini partono da posizioni difficili da conciliare: i russi vogliono che l’Ucraina riconosca l’indipendenza delle Repubbliche separatiste del Donbass e l’annessione della Crimea, oltre all’impegno a non entrare nella Nato; gli ucraini, non vogliono rinunciare all’integrità territoriale del loro Paese e sperano di entrare nella Nato che oggi militarmente li sostiene. Forse si troverà un compromesso, tutto dipenderà dal peso delle sanzioni occidentali e dal successo militare dell’offensiva russa. Di certo l’Ucraina entrerà in Europa (è un suo diritto); ma credo che ne pagherà le conseguenze. La “generosa” Europa, imporrà all’Ucraina come impose alla Grecia, una politica “lacrime e sangue” per risanare la sua disastrata economia.

La Cina guarda alla crisi ucraina con interesse e non ha condannato l’invasione russa. La crisi ucraina favorisce Pechino perché allenta l’attenzione degli Stati Uniti nell’Indo Pacifico, dove si gioca il confronto con gli Stati Uniti. La crisi ucraina rappresenta per Pechino un banco di prova per valutare la determinazione degli Stati Uniti nell’affrontare una nazione potente come la Russia impegnata a difendere la propria sfera d’influenza. L’Ucraina sta alla Russia come Formosa sta alla Cina. Come vedete la crisi ucraina supera i confini dell’Europa.

Giorgio Da Gai

Ultimo aggiornamento: 29/03/2024 09:14