Una domenica dello scorso ottobre, al mercatino d’antiquariato di Portobuffolè, vidi un signore distinto, vicino ad una bancarella di libri. Immaginai che fosse un professore di lettere vedendo i libri che acquistava, autori della letteratura italiana e straniera. Mi avvicinai per conoscerlo e chiedergli lumi sullo scrittore Giovanni Comisso. Mi piace sentire cosa pensano le persone su alcuni scrittori e ho constatato che ogni lettore trova dei particolari che ti possono sfuggire, il parlarne, pertanto, mi arricchisce. Quell’incontro mi fu caro, perché ebbi modo di conoscere il figlio del martire della strage di Oderzo del maggio 1945, Domenico Badanai, perpetrata dai partigiani. Arrivato a casa, mi ritirai in biblioteca, dove scrissi alcune riflessioni sul tragico evento. La guerra stava per finire, e tanti soldati della RSI che studiavano nella scuola militare del Collegio Brandolini si erano fidati di un accordo siglato con i partigiani. Quell’impegno fu un grande imbroglio, non venne onorato e 126 di loro furono trucidati, senza una ragione. Quella sera non dormii, immaginavo il padre del professore che non era più tornato a casa. Pensai al cuore preoccupato di sua moglie che aveva in braccio una creatura donata dal buon Dio, ed attendeva invano il ritorno del marito. I camerati della RSI, furono portati vicino al fiume, e molti con il loro sangue lo arricchirono. La cosa peggiore è che, tuttora, l’odio è rimasto negli animi dei partigiani, che in tante parti d’Italia, impediscono che s’innalzino dei monumenti, delle lapidi, ai caduti della Repubblica Sociale. La Chiesa non li ricorda, eppure questi soldati hanno sofferto per la loro morte atroce. Questa Italia potrà dire d’aver seppellito l’odio, solo nel momento in cui anche i soldati delle RSI, potranno essere ricordati con tutti gli onori. I martiri della RSI erano solo dei soldati che avevano scelto la strada più difficile, quella di combattere per la fedeltà e la lealtà alla Patria. Una poesia raccoglie il loro sacrificio:
“Tutti avevano la faccia del Cristo
nella livida aureola dell’elmetto.
Tutti portavano l’insegna del supplizio.
nella Croce della Baionetta.
E nelle tasche
il pane dell’ultima cena
e nella gola
il pianto dell’ultimo addio”.
Alcuni mesi dopo il professore, così io lo chiamo, mi fece giungere uno scritto, che riassumo e al quale unisco il mio dolore.
Domenico Badanai nasce nel 1912. Primo di tre fratelli resta orfano del padre arruolato come bersagliere nella prima guerra mondiale, ferito nella battaglia del Pasubio e, per mancanza di soccorso, muore dissanguato. Domenico trova lavoro come tipografo a Oderzo. Partecipa alla guerra d’Albania e successivamente alla campagna di Russia come Caporal Maggiore nel reparto autieri. Viene decorato con medaglia al valore militare per la battaglia del Don, 1942. Rientra miracolosamente in Italia e trova occupazione presso l’ufficio forestale di Treviso, come addetto al trasporto ferroviario del legname. Grazie a tale incarico riesce a liberare alcune persone che si trovavano in un carro ferroviario diretto ad Auschwitz. Si sposa con la signora Guerina. La prima gravidanza della moglie non viene portata a termine per l’ insorgenza di una peritonite. La signora Guerina resta incinta una seconda volta ed allora Domenico decide per esserle vicino di iscriversi alle Brigate Nere di Oderzo, essendo impossibile il trasferimento del Corpo Forestale in tale paese. In quel periodo le brigate partigiane dirette da emissari titini scendono dal Cansiglio. Le truppe fasciste, costituite dagli allievi ufficiali di Oderzo e dalle Brigate Nere, si asserragliano nel Collegio Brandolini Rota con molte armi. Il C.L.N. di Oderzo con l’intervento del Monsignor Visentin, Abate Mitrato di Oderzo e del sindaco, onde evitare spargimenti di sangue, chiedono di firmare un patto di resa con la consegna delle armi e il processo dei responsabili. Il processo farsa si svolge in municipio. Il cosiddetto presidente pronuncia che contro Domenico Badanai non c’è nulla a carico ma in base ad un segno convenzionale stabilito con i partigiani compie mezzo giro a sinistra, che significava la condanna a morte. La stessa scena si ripete in tutti gli altri casi. La moglie lo consiglia di rifugiarsi presso dei parenti in campagna e di non presentarsi. Egli rifiuta dicendo che non ha mai fatto del male a nessuno e non ha nulla da temere. Centodieci fascisti vengono radunati presso il collegio Brandolini Rota in attesa di essere trasferiti nel campo di concentramento di Treviso. La notte del trenta aprile 1945 vengono caricati su dei camion bestiame e portati a Susegana sulla sponda del Piave e trucidati per festeggiare il primo maggio. La moglie può recuperare il cadavere del marito solo dopo tre mesi perché la zona era presidiata dai partigiani che impedivano l’esumazioni. I responsabili dell’efferato eccidio vennero condannati dalla Corte d’assise di Villetri con condanne variabili da dieci a vent’anni. Il processo a Treviso non si può svolgere per le minacce di morte rivolte dai responsabili ai testimoni a vario titolo. Nel 1956 con l’amnistia voluta da Togliatti escono dalle carceri. L’amnistia elimina la pena ma le colpe restano.
Emilio Del Bel Belluz