Editoriali

Libia. Qualcosa deve accadere

di Roberto Bernardini

Questa volta non sono solo fruscii o aliti di brezza ma venti forti e determinati. Tre i fatti importanti sui quali porre l’attenzione. Il primo è la decisione della Corte di giustizia europea che nonostante le insistenze dell’Italia ha confermato le regole del trattato di Dublino e ribadito quindi che tutti i profughi che arrivano in Italia devono presentare domanda di asilo nel nostro Paese. Il secondo è il vertice tra i due rappresentanti del potere in Libia, Khalifa Haftar indiscusso padrone della Cirenaica e Fayez Al Sarraj premier del governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite, organizzato in tempi brevissimi a Parigi dal Presidente Macron nei giorni scorsi. Il terzo è la richiesta di Al Sarraj all’Italia di intervenire con un dispositivo militare nel contrasto ai trafficanti di esseri umani nel mediterraneo e nel controllo delle acque libiche. Tutti poco rispettosi del prestigio del nostro Paese anche se probabilmente funzionali ad alleggerire nel tempo la pressione migratoria. Approfondiamo. La sentenza della corte indica chiaramente che l’UE vuole il rispetto delle regole da tutti sottoscritte e non consente deroghe solo perché queste regole sono più “pesanti” per un Paese in un momento caratterizzato da una lunga emergenza che lo riguarda. All’epoca della firma del trattato doveva essere chiaro per i nostri governanti che lo stesso era penalizzante, almeno a livello di possibilità, più per noi che per i Paesi del Nord Europa dove i flussi migratori consistenti come quelli che oggi ci riguardano non erano e non sono tuttora ipotizzabili. Ma nulla dicemmo accettando la regola. Ora ce la fanno osservare, e dobbiamo farlo, il trattato potrà essere riesaminato ma per ora va bene così. Certo il momento impone qualche compensazione e per questo da Bruxelles ci assicurano iniziative di sostegno finanziario al nostro agire. Speriamo che alle dichiarazioni seguano, presto, i fatti. Il vertice di Parigi la dice lunga su chi possa avere influenza sulle questioni di politica internazionale al di là della buona volontà. In Libia permane un vuoto di influenza che l’Italia per il suo scarso peso internazionale non ha saputo ricoprire. La Francia, come noto fortemente interessata alle risorse petrolifere libiche, ha un altro peso e prontamente si è insediata spostando la sedia della “chairmanship” dal nostro tricolore a quello francese. Da Roma nessun concreto passo, anzi sembra che si sia espressa soddisfazione. Incredibile perché l’Italia sta lavorando al dossier libico con tutte le proprie risorse diplomatiche, militari e di Intelligence da moltissimi mesi. Ha sempre cercato di porsi come leader nella questione, dichiarandolo ai quattro venti, rivendicando precedenti storici e di conoscenza che farebbero del nostro Paese il solo interlocutore utile alla soluzione della crisi. Niente, nessun risultato. Ci sono stati incontri a Roma con Al Sarraj, altri contatti con Haftar ma mai si è riusciti a fare quello che Macron ha fatto. Il piccolo Napoleone, come qualcuno inizia a chiamarlo, è riuscito a raccogliere l’appoggio di attori coinvolti e influenti sul rais della Cirenaica, come ad esempio il Qatar, a mettere a confronto i due potenti della Libia e a far loro siglare un accordo di cessate il fuoco, di comune contrasto al terrorismo e di elezioni politiche in primavera. Magari tutto questo non succederà, ma le basi sono state gettate e la Francia ci ha surclassato, con un solo colpo di stecca ha messo tutte le palle in buca. Certo molto ha contribuito la sinergia con il Qatar che in questo summit ha posto tutta la sua influenza nei confronti di Haftar da loro pienamente sostenuto. Ma il risultato non cambia, la Francia è un grande Paese che non solo in Europa ma anche a livello mondiale conta e può fare. Noi molto meno.

L’impegno militare nel mediterraneo, sotto egida EU o a livello nazionale chiesto da Al Sarraj all’Italia è un passo importante che potrà veramente imporre l’alt ai traffici nel Mediterraneo e che sancisce un cambio di rotta del rais libico che solo qualche mese in Parlamento aveva assicurato che mai navi straniere avrebbero navigato in acque libiche. Potenza della politica e soprattutto realtà degli accordi preventivi che Macron avrà senz’altro scucito ai due suoi ospiti a Parigi. L’Italia sempre a guardare. Certo abbiamo esperienza, anche il Albania alla fine degli anni ’90 lavorammo bene, sostenemmo tutto il peso militare della missione Alba e successive, salvo poi non capitalizzare l’impegno consentendo ad altre potenze di far man bassa delle commesse per la ricostruzione. Speriamo che questa volta vada meglio.

C’è però una pregiudiziale. Al Sarraj non ha avuto il preventivo avallo del Parlamento di Tripoli ne delle potenti milizie che sostengono il premier imposto dall’ONU. Al suo ritorno in Patria dovrà far accettare la sua iniziativa e questo non lo si può dare per scontato. Tutto ancora in salita quindi.

Per quanto ci riguarda, e ci riguarda pesantemente, l’accettazione del ruolo principale nella nuova missione ci pone in una condizione di esecutori che onestamente non ci piace molto. Altri concordano, stabiliscono, chiedono e noi eseguiamo. E’ uno scenario già visto in tante missioni internazionali, anche quando non si andavano a difendere gli interessi nazionali ma quelli non ben definiti della cosiddetta comunità internazionale. Ogni riferimento a missioni in Iraq e Afghanistan può essere considerato puramente casuale, ma è così. Questa volta, almeno, l’interesse nazionale c’è perché se la situazione in Libia migliora per noi è un grosso vantaggio. Ma l’approccio non cambia. Messi da parte senza nemmeno tanta diplomazia nella concertazione di Parigi siamo felici di “eseguire”? Ci saremmo aspettati qualche posizione più muscolosa da parte del nostro apparato diplomatico, ma tant’è. Evidentemente questo è il nostro livello di ambizione sulla ribalta internazionale.

di Roberto Bernardini


Ultimo aggiornamento: 09/06/2023 14:25