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Montaner , dove la bellezza sfida il tempo per raccontare la storia

di Monia Pin

MONTANER, SARMEDE (TV) - Il tempo in certi luoghi sembra non essere mai passato, o meglio pare non esercitare alcun potere tanto che appena li raggiungi ci si ritrova catapultati in un’atmosfera dove il profumo del passato traccia un segno indelebile nel presente, attraendo il visitatore nel vortice di una bellezza semplice e genuina.

E’ questo che ho sentito appena sono arrivata a Montaner, concedendomi del tempo per camminare tra le sue vie in una giornata di novembre insolitamente soleggiata, tanto che subito gli occhi hanno spaziato seguendo i crinali dei monti fin verso la pianura, divagando dal candore delle cime fino alle tonalità cangianti dei boschi. L’antico feudo dei Da Camino si è presentato rinvigorito dalla luce che invade le vie e sottolinea con cura ogni minimo dettaglio, ritmando una danza di emozioni e ricordi, arte e paesaggi, intrecciando l’uno all’altro in una spirale di bellezza che conquista il visitatore.

E’ la statua di Santa Barbara ad aver attratto la mia attenzione, situata poco prima della chiesa. La patrona dei Vigili del fuoco e degli artificieri è anche la protettrice dei minatori, molti dei quali partirono proprio da Montaner. La sua ricorrenza che cade il 4 dicembre viene qui celebrata con una grande festa che diventa momento nel quale la memoria dei Caduti sul lavoro termina con la deposizione della corona d’alloro al vicino sacello e 21 colpi a salve di mina. Il sacello, edificato nel 1929, perpetua l’eco di vite che a causa dei conflitti mondiali e del lavoro perirono, ma non morirono mai nei cuori delle persone che ogni anno non mancano di onorare chi si sacrificò per la propria terra e per i propri affetti. Bellissima la vetrata centrale con l’immagine di Santa Barbara attorniata dai simboli che rimandano al suo martirio. 

A pochi passi c’è il monumento a Sant’Antonio risalente al 1927 nella classica raffigurazione che lo vede tenere in braccio il Bambino mentre due angeli lo affiancano. Da notare il dettaglio del pane che il Santo tiene in una mano, probabile rimando alla tradizione che contribuì non poco a diffondere la sua venerazione. Fu infatti a seguito della grazia invocata e ricevuta grazie all’intercessione di Sant’Antonio che il piccolo Tommasino, bimbo di pochi mesi e vittima di un incidente domestico, ritornò alla vita e questo episodio diede poi origine all’Opera del pane dei poveri. Sul piedistallo della statua una scritta ricorda che il monumento fu voluto da “Gli emigranti, i militari, i pastori, i servi di Montaner”. Lo slancio con cui il Santo alza la mano indicando il cielo è un invito a rivolgere i nostri cuori verso l’alto, non smettendo mai di sperare e confidando sempre in quell’aiuto provvidenziale capace di farci oltrepassare i momenti più critici e ardui della storia e delle nostre vite. Al centro appare la Chiesa di San Pancrazio Martire, posta in una posizione più centrale rispetto al passato, costruita tra il 1872 e il 1902 in luogo di un preesistente oratorio risalente al XVII secolo. La chiesa divenne parrocchia nel 1600 (prima era filiale di Fregona) e parrocchiale nel 1820 quando il vescovo Falier le trasferì il titolo precedentemente appartenuto per oltre due secoli alla chiesa di Santa Cecilia in Val, tutt’ora esistente. Consacrata nel novembre 1889 dal Vescovo Sigismondo Brandolini Rota l’edificio sacro nel corso del tempo necessitò di alcune ristrutturazioni causa i terremoti del 1936 e del 1976, fino all’ultimo
restauro conservativo portato a termine nel 2000.

Tutte le tappe che hanno segnato la storia di questa chiesa, degli edifici vicini ed i nomi dei primi sacerdoti che ressero la parrocchia si possono leggere sulle due lapidi poste sulla facciata principale. Accanto alla chiesa svetta il campanile eretto dall’architetto D. Rupolo nel 1914, sulla cui porta è visibile una targa in legno posta in occasione del centenario che recita “in ricordo del lavoro e del sacrificio dell’operoso popolo di Montaner”.

Se l’esterno appare essenziale, l’interno è lucente quanto ad opere e testimonianze di fede che irradiano allo spirito un senso di profondo coinvolgimento. Si comincia dalla pala d’altare di Antonio Dal Favero dove un giovanissimo San Pancrazio appare tra San Rocco e Santa Apollonia mentre, sempre nel coro, due dipinti risalenti al 1936 ad opera di Vittorio Casagrande narrano due episodi del Vangelo: La moltiplicazione dei pani e dei pesci e Gesù tra i fanciulli. Agli occhi non può sfuggire l’affresco sul soffitto di Noé Bordignon raffigurante il Primato di San Pietro, così come sulla sinistra un’apertura invita entrare nella Grotta di Lourdes che discretamente si apre sulla sinistra, chiamandoci ad una sosta di preghiera e contemplazione. Nella ricostruzione della grotta non mancano ex voto, foto, testimonianze di grazie chieste e ricevute, tutto in un’atmosfera che trasmette l’intensità di una fede profondamente sentita e vissuta. Così come lo furono le vite di Giovanna Teresa Faé, deportata nei lager in Germania e sorella di Don Giuseppe Faé , e Padre Giovanni Ulliana, missionario nella lontana terra di Thailandia e mancato nel giugno del 1984. 

Anche Padre Achille Da Ros viene ricordato all’interno del luogo sacro, prima insegnante di Etnologia e poi missionario in Kenya dedicò anch’egli la sua vita al prossimo. Di don Giuseppe Fae’ e della sorella, nativi di Campomolino, restano impresse ovunque e per sempre le tracce indelebili del loro passaggio, anche attraverso le opere edificate al fine d migliorare le condizioni di vita dei parrocchiani e favorire lo sviluppo del paese. Le loro vite trascorsero all'insegna della generosità e dedizione verso il prossimo, con un forte senso di abnegazione e dimostrando un continuo prodigarsi verso i bisogni altrui, con testimonianze ben documentate da alcune pubblicazioni che onorano la loro memoria consegnandola alle generazioni future. 

Proprio dinnanzi alla chiesa un bel monumento commemora appunto Don Giuseppe Faé, come se mai si fosse allontanato dalla sua parrocchia ed il 18 dicembre scorso lo spazio che si trova a lato della chiesa è diventato “Piazzetta Giuseppe Fae’”, proprio vicino al monumento dei caduti.

Non mancano certamente a Montaner i sentieri che oltre a perpetuare il ricordo degli eventi cruenti di un recente passato animato da un forte sentimento di libertà, ci fanno sentire tutta la potenza della vita sprigionata da una natura che avvolge, coinvolge e rinvigorisce il corpo e l’anima portandoci dentro a quei silenzi nei quali è facile intuire ed elaborare tutte le emozioni provate durante la nostra visita. Siano essi in termini di bellezza, fede, storia o arte sono tutti segni che ci rendono consapevoli di vivere in un territorio che merita di essere conosciuto e custodito, accompagnati dalla quiete che ne evidenzia ancor più l’anima autentica, antica eppure così viva. A volte traspare dai nostri paesi il desiderio di una terra, la nostra, che unisce l’essenza di vite vissute intensamente nel segno del bene verso il prossimo alla grazia che disegna con maestria un paesaggio pronto a perpetuare un amore atavico, che ci lega indissolubilmente in un respiro di emozioni uniche.


















Ultimo aggiornamento: 18/04/2024 21:42