Dai lettori

Parità di genere: traguardi passati, sconfitte presenti

di Thomas Zanchettin

Un interessante sondaggio condotto da Demos per l’Osservatorio sul Nord Est nel lontano 2015, mostrava come ben il 41% le donne nel Triveneto si sentisse non accora pienamente pari agli uomini, contro un 50% a favore del pieno raggiungimento della parità dei diritti e il restante 9% verso uno squilibrio che vede le donne prevalere sugli uomini. La situazione, risalente a tre anni fa, è certamente mutata, ma quanto esattamente?


Secondo il rapporto Global Gender Gap Index 2017 del World Economic Forum, l’Italia si posizionava nella posizione numero 82 su 144 sulla parità di genere, con un bruttissimo 61,5% per la quota di lavoro non pagato o pagato meno rispetto a quello degli uomini. È un dato preoccupante ma assolutamente fondamentale per aprire un riflessione sulla mentalità che dovrà per forza cambiare, perché l’economia cambia se cambiano i suoi operatori. E con loro il futuro.

Dopo alcune brevi ricerche e l’interessante lettura di “Veneti” di Anonimo Trevisano (2017, Piazza Editore), ho scoperto che l’antica mentalità nel nostro territorio (dai Veneti antichi alla Serenissima Repubblica di Venezia), benché la vita quotidiana lo dia poco a dimostrare, totalmente devota alla figura femminile sia nel contesto familiare, come pilastro dell’educazione della prole, sia nel campo socio-politico. Un figura forte politicamente è di per se anche un efficace fattore economico, perché è tramite l’interesse per il proprio territorio che un soggetto prende a cuore la sua economia e si adopra affinché essa funzioni. E proprio da qui parte la mia riflessione.


Prima testimonianza degna di nota viene da Giulio Cesare, il quale scrive nel suo De Bello Gallico (58-50 a.C.) una delle particolarità in corso nel matrimonio celtico: l’amministrazione del patrimonio familiare non era del capo-famiglia (quindi dell’uomo) ma di entrambi gli sposi tanto che veniva stabilita la metà esatta del patrimonio stesso, per dividerlo equamente nel caso in cui la coppia avesse divorziato. Una prima forma di parità di genere a oltre 2000 anni da noi.


Sebbene oggi tutte le società della storia vengano presentate come strettamente patriarcali, per molte di queste è stato svelato il loro doppio volto: quello del matriarcato. Il suo funzionamento, come suggerisce Anonimo Trevisano, è molto semplice ed immediato nell’esempio: basti pensare ad un branco di leoni, il maschio-alfa è il capo, ma è la femmina ad istruire i cuccioli e a cacciare per il sostentamento del branco stesso. Allo stesso modo, con le ovvie diversità, funzionavano le altre società umane. Lo stesso autore, nel capitolo successivo, parla anche del fondamentale ruolo della dogaressa ovvero la moglie del doge: se il marito era il re-presidente di una repubblica oligarchica, lei era il monito vivente della fedeltà ai giuramenti della carica dogale. Lo stesso rito dello Sposalizio del Mare (chiamato in origine la mar) si può ricongiungere facilmente alla visione matriarcale degli antichi Veneti, sparsi su tutto il Triveneto.


Figura ricorrente in molti culti animisti (quindi già alla fine della Preistoria), la donna, insieme al Sole, è stata una delle figure più mistificate e adorate per la stretta connessione alla natura. Il sole faceva crescere le piante, scaldava, illuminava il giorno, ma la simbolizzazione della donna come protettrice di un qualsiasi elemento naturale, era un chiaro riferimento alla sua innata possibilità di dare fisicamente la vita ad un altro essere umano. La Vita infatti è nata dall’acqua, che dà vita alle piante nella terra, che fa nascere altra vita. Un ciclo continuo che ha visto una mistificazione e un parallelo riconoscimento della parità di genere all’interno di tutte le società della storia.

Nel suo ruolo di donna-portatrice di vita, la donna nei secoli ha potuto godere sempre di una particolare attenzione: anche nel Medioevo quando l’amor cortese e i precetti religiosi facevano da cardini fondamentali per il buon nome del cavaliere e della sua famiglia. Tale attenzione però, è venuta a mancare quando per comodità e convenienza economica, si è cominciato a preferire la figura maschile, ovvero la stessa che componeva anche l’apparato militare del territorio; il fenomeno, cominciato dai Greci e perfezionato dai Romani, potrebbe avere, come diretta conseguenza, l’attuale incapacità sociale ad accettare la parità di genere nella nostra società. Legarsi al senso pratico tralasciando quello legato all’unità familiare ha come beneficio l’immediato soddisfacimento del desiderio maschile di “aver tutto e subito” facendo a meno delle questioni più morali, tipiche del focolare domestico; grande svantaggio è invece l’esclusione parziale o totale delle figure meno considerate da questo tipo di società, e natura ha voluto che, nel corso della storia, fossero proprio le donne. Lo hanno ben visto i Lici, stanziatisi in Anatolia (odierna Turchia) nel II° millennio avanti Cristo, i quali prevedevano una parità di genere totale (elevando anche le donne a capi del loro sistema federale) che privilegiava la discendenza matrilineare, a sottolineare ancora una volta l’importanza della figura femminile all’interno della società. Una volta annessi dai patriarcalissimi Greci, scomparve sia la loro cultura che l’innovativa parità di genere.


La domanda che mi pongo allora è una sola: perché dopo un trascorso di migliaia di anni di parità di genere mai declamate ma preesistenti nel nostro DNA, ci ostiniamo ancora a voler fare del mondo un posto per una sola classe genetica? La nostra stessa esistenza insegna come anche nella famiglia la parità di genere (e prima ancora di ruolo) sia fondamentale per la crescita personale, perché dovrebbe essere diverso nella società umana? Non è essa figlia del cittadino?

Ultimo aggiornamento: 28/03/2024 11:56