Italia, Politica

Ricordo di Niccolò Ghedini. Solo un avvocato

di Gianluca Versace

Amiche e amici, domattina ci rivedremo, fino dalle prime luci dell'alba, con Notizie Oggi su Canale Italia tornerò alla conduzione dello storico format in diretta nazionale, dalle ore 6.00.

In questi giorni, sono accadute tante cose. Una, in particolare, mi ha colpito e rattristato: la scomparsa di Niccolò Ghedini.
Domani lo ricorderò, anzi lo ricorderemo assieme, in tv.

Per tanti, era l'avvocato di Berlusconi, questo era perlomeno il cliché che gli era stato appiccicato sulla toga. E, in effetti, lo era stato. Con strategie difensive che, in particolare nell'allucinante processo "Ruby", gli avevano attirati gli strali polemici delle sinistre e gli insulti dei soliti ignobili "leoni da tastiera" un tanto al chilo. Ma lo comprendo: Niccolò, per certuni, era - erroneamente - l'incarnazione dell'ispiratore delle cosiddette (e vituperate) leggi "ad personam".
Ora, io credevo che questo accanimento indecente si fermasse sulla soglia della sua morte, davvero prematura.
Mi sbagliavo. Mi sbaglio sempre quando esagero, preso da un mio entusiasmo genetico, in merito alla bontà del genere umano.

Lo dico senza fraintendimenti. Credo che non ci sia niente di più rivoltante e quindi di più calzante e paradigmatico, sullo stato di degrado "dis-umano" in cui ci siamo ridotti, che la melma vomitata su creature che non ci sono più.
Spargere ogni nefandezza immonda sulla tomba del "nemico", esprime ahimè con straordinaria efficacia, l'irreparabile deriva che ci sta conducendo, per qualcuno perfino allegramente, dritti dritti nell'abisso della abiezione.
Di Niccolò ricordo i nostri confronti, sul palco della Tre Giorni di Cortina d'Ampezzo, organizzata dal caro Remo Sernagiotto: in uno, gli ricordai una frase di Piero Calamandrei, che piaceva molto a mio padre Vincenzo, avvocato come lui: "La Giustizia è una spada senza impugnatura. Ferisce anche chi la brandeggia". Gli era piaciuta a tal punto da ri-citarla in altre occasioni pubbliche, "come mi ricordava l'amico Versace...".

Aveva una immagine austera e una personalità brillante, una intelligenza sottile e speculativa: e poi, come gli dicevo sempre, era "avvocato, come è sempre stato papà". E lui sorrideva, annuendo.
Non tutti gli avvocati sono uguali agli altri avvocati, ovviamente. Ma tutti, dico tutti, magari per un solo istante nella loro vita professionale, sono sicuro hanno compreso alcune cose, per me fondamentali e non negoziabili, della loro "missione". Al fianco di donne e uomini che soffrono, comunque, perché catapultati negli ingranaggi della giustizia.
Ius come ipsa res iusta: il diritto, è come una realtà tangibile, tattile, epidermica, non solo astratta.

L'avvocato è avversario per natura e amico per volontà. Perché dove c'è un uomo che soffre, ci sia un uomo che ama e si occupa della sua sofferenza.
Quello che è più orrendo, mostruoso al mondo è la giustizia separata dalla carità (lo diceva benissimo Jack Mauriac).
L'amore è l'altra faccia della giustizia.
Il vero difensore, non può essere legato da nessuna scelta programmatica: gli può capitare un caso che capovolga il suo credo, ed egli ha il dovere, oltre che il curioso piacere, di indagare e giustificare ciò che non capisce o addirittura non approva. E' proprio la giustizia del non giudicare, la giustizia di Gesù Cristo e di Tolstoj che impone all'avvocato la massima apertura.

L'avvocato ha il privilegio di dover credere al suo cliente. Odo il borbottio e lo stupore moralistici: ma furono proprio i moralismi senza morale a generare le più gravi ingiustizie.
L'avvocato è chiamato in difesa dell'uomo. Che, in astratto, non è mai colpevole. Se questo sarà il risultato finale della storia dell'uomo, i difensori ne saranno stati i profeti. Ma l'avvocato non può attardarsi a difendere se stesso, avvilito dal premere della riprovazione e del biasimo "sociale".

Romano Bilenchi è uno dei pochi letterati che avesse intuito a fondo il valore del "difensore" e amava dire, con una iperbole, che se non ci fossero gli avvocati saremmo tutti in prigione. Forse non in galera, ma probabilmente in manicomio.
Noi oggi, ed è un altro segno di quanto siamo conciati male, confondiamo la vendetta con la giustizia: per millenni, la vendetta fu la giustizia. Ma l'inseguirsi di vendette non può portare alla giustizia, che è proporzione dell'uomo all'uomo. Piuttosto, darà una specie di appagamento, del clan, della famiglia, del branco, dell'orda. Che crea subito la paura di un'altra ingiustizia.

Ma la giustizia non è questa roba qua. Questa è la giustizia della prepotenza o l'ordine della forza. Giusto un filino meglio dell'anarchia.
Omero ci mostra l'uomo indifeso contro gli eventi. e l'evento è classicamente giuridico. Ogni azione umana che abbia un rapporto con l'altro, diventa un atto regolato da leggi naturali o dettate dall'uomo.
L'interprete della legge naturale è stato il primo difensore dell'uomo. Il giudice primitivo è il primo segnale di civiltà.
La meno citata di tutte le parabole di Cristo è quella delle ore. E lo capisco: Gesù ci dà un esempio di giustizia divina ma possibile, applicabile, lontana dal concetto liturgico della giustizia, quasi una grazia; e tuttavia, basata sulla prassi umana, così da incuterci il sospetto che esista una più giusta giustizia, per così dire.

Tu sei arrivato per primo al lavoro, sei venuto quando iniziava il giorno e io ho pattuito con le la "giusta" mercede. Con gli altri che arrivano dopo, perfino con con gli ultimi, i ritardatati sfaticati a musica, che arrivano al cantiere solo un'ora prima della fine del turno di lavoro, non pattuisco. Al momento di pagare do a tutti quello che avevo pattuito con chi era arrivato per primo, diligentemente, coscienziosamente: non violo la giustizia, che vuole che adempia alla parola data. Tanto più adempio verso chi ha lavorato meno in quanto pago la mercede pattuita con il primo, "il più bravo". E ai primi che si lamentano rispondo: non ti ho dato quel che ti spettava? Cosa t'importa che io sia buono con gli altri? Ecco, questa è per noi una giustizia incomprensibile, lo capisco. Incomprensibile fino al momento in cui, riflettendo, tu riesca a cancellare il risentimento dell'invidia.

Diceva sempre papà Vincenzo: amare la giustizia è meraviglioso, ma esserne travolti diventa il rimpianto molto doloroso di un amore impossibile.
Mi viene fatto di pensare e immaginare che loro due si ritroveranno in un'altra dimensione, a discutere di giustizia, con una toga leggerissima tutt'uno con la loro anima, dolcemente tenace, di difensori. Solo un avvocato, per l'eternità.
Per il resto, anche il carissimo Niccolò non lo ignorava: la giustizia è un fatto dell'uomo. E i fatti e pure i misfatti dell'uomo attraversano da sempre e per sempre la materia per marcarla di sofferenza e amore.
Ciao, caro amico, che la terra ti sia lieve.

Gianluca Versace
Giornalista e scrittore

Ultimo aggiornamento: 20/04/2024 10:00