Italia

25 aprile di ricordi e speranze

di Emilio Del Bel Belluz

C’è una data che ha messo sempre gli italiani sul sentiero dell’odio: il 25 aprile 1945, fine del secondo conflitto mondiale. Questa data, dopo quasi ottanta anni dalla fine delle guerra, genera ancora odio e tristezza, non si parla mai di pacificazione. “In un giorno del marzo 1945, un giovanissimo ufficiale pilota, che faceva parte di una delle sparute squadriglie rimaste al Nord dopo l’otto settembre 1943, conversava con alcuni compagni nella sala ritrovo ai margini di un aeroporto di guerra. Diceva: “Ormai non c’è più nulla da fare, lo sappiamo. Questioni di giorni o di settimane. Ma io continuo a combattere e se uscirò vivo da questa faccenda, ebbene potrò dire che io la mia guerra l’ho vinta”. Ciò è stato scritto tanti anni fa nel giornale Il Corriere Lombardo da Oreste Gregorio. L’autore inoltre ha riferito che il pilota uscì vivo dalla guerra, ma che questo non fu sufficiente per salvarsi la vita, morì ucciso da altri italiani che non la pensavano come lui, i partigiani. 

Nello stesso articolo Gregorio riporta alcune frasi di Giorgio Pisanò, lo storico che dedicò tutta la sua vita a ricordare la storia dei vinti, anche perché lui era un vinto avendo combattuto per la RSI, e provato molti disagi esistenziali ma che gli permisero di rimanere fedele ai suoi ideali. Nelle sue memorie dice: “Perché questi giovani oggi quarantenni, non debbano avere diritto di cittadinanza come ex combattenti? Perché le lacrime della madre che piange il figlio morto sotto i gagliardetti fascisti debbano essere diverse dalle lacrime della madre che piange il figlio caduto in divisa di partigiano? Quando, naturalmente, quei due giovani siano morti per avere creduto nella Patria”. 

Ogni anno nel giorno del 25 aprile mi reco in più cimiteri a portare un fiore sulla tomba di giovani fascisti e partigiani, e ogni volta mi soffermo a pregare sulle loro tombe. Tutti avevano vent’anni e tutti avevano diritto di vivere. Mi rammarico profondamente perché le autorità politiche non si ricordino di mettere un fiore sulla tomba dei soldati della RSI. A questi giovani non è permesso nulla, neppure che si celebri una messa, e per questo l’odio continua a scorrere. Nella mia famiglia un ragazzo di 16 anni morì, il suo cuore non resse ad una incursione violenta dei partigiani. Nella mia vita ho sempre cercato di cancellare l’odio verso i partigiani che avevano causato la sua morte, anche se qualcuno mi diceva che non si potevano dimenticare le urla di dolore della madre. 

Il 22 aprile sono passati 102 dalla nascita di mio padre che, nel secondo conflitto mondiale, venne internato in Prussia perché aveva voluto rimanere fedele al giuramento fatto al Re. Quando tornò in Patria raccontò in un diario quello che aveva vissuto, ma nei suoi scritti non ho mai trovato l’odio verso quelli che lo avevano fatto vivere per alcuni anni lontano da casa in un campo di concentramento. L’odio non gli aveva corroso il cuore, e lo dimostra il fatto che un giorno andammo a visitare un piccolo cimitero in cui era sepolto un soldato tedesco ucciso dai partigiani. Mio padre volle portarvi dei fiori e una lacrima. Rimase legato a Casa Savoia, dispiaciuto di non poter rivedere il suo Re, né da vivo né da morto. Sperò fino in fondo che il Re Umberto II potesse riposare al Pantheon a Roma. Questo desiderio non fu mai esaudito.

Emilio Del Bel Belluz

Ultimo aggiornamento: 09/05/2024 20:18