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il Kosovo come il Donbass e la Crimea

La vicenda del Kosovo è analoga a quella del Donbass e della Crimea; le uniche differenze riguardano i fini strategici e il destino delle provincie secessioniste.
Negli anni ‘80, nell’Europa orientale e nei Balcani, la crisi causata dal crollo dei regimi socialisti scatenerà una serie di conflitti che porteranno alla disgregazione della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica. Un tragico copione che si ripete nello spazio e nel tempo: un gruppo etnico reclama l’indipendenza dalla nazione di appartenenza perché non sente rappresentato o si considera discriminato (gli albanesi in Kosovo e i russofoni in Ucraina).

Il governo centrale reprime con brutalità le ambizioni della minoranza secessionista, ricorrendo anche all’uso di milizie paramilitari (le Tigri di Arkan in Kosovo e i neonazisti del Battaglione Azov in Ucraina). Nasce un conflitto tra la minoranza separatista e il governo centrale che miete vittime tra la popolazione civile.
Una potenza straniera appoggia la minoranza separatista e in spregio al diritto internazionale attacca la nazione che difende la propria integrità territoriale. La Nato in Kosovo e la Russia in Ucraina intervennero a sostegno della minoranza secessionista violando le norme del diritto internazionale poste a tutela dell’integrità territoriale di uno Stato sovrano. Il Kosovo era parte della Serbia come la Crimea e il Donbass erano parte dell’Ucraina. In Kosovo come in Ucraina l’intervento di una potenza straniera sarà decisivo per consentire alla minoranza separatista di ottenere l’indipendenza.

La minoranza separatista con un referendum fonderà un nuovo Stato (la Repubblica del Kosovo) o chiederà l’annessione della propria regione a uno Stato diverso da quello di appartenenza (il Donbass e la Crimea votarono e ottennero l’annessione alla Russia). I referendum voluti dalla minoranza separatista non otterranno l’unanime riconoscimento della comunità internazionale.

Il Kosovo tra nazionalismo serbo e separatismo albanese
In Kosovo i fermenti indipendentisti della minoranza albanese esplosero tra il marzo e l’aprile del 1981 (la Primavera di Pristina). Proteste nate dalla precaria condizione economica della regione, ma che presto assunsero toni politici. I manifestanti chiedevano per il Kosovo lo status di repubblica e quindi il diritto di secessione contemplato dalla Costituzione jugoslava per le singole repubbliche che la componevano. Gli albanesi, come le altre etnie della Jugoslavia volevano un loro Stato a base etnica (etnonazionalismo) non credevano più nella Jugoslavia socialista e multietnica di Tito.

Il 28 marzo del 1989 il governo di Belgrado guidato dal serbo Slobodan Milosevic revocò l’autonomia alla provincia del Kosovo. Milosevic vedeva nelle proteste della minoranza albanese una minaccia all’unità e stabilità della Federazione; inoltre, Milosevic era serbo e rappresentava gli interessi dei serbi, nemici storici degli albanesi, dei croati e dei mussulmano-bosniaci. Nel Kosovo la perdita dell’autonomia comportò la revoca dello status paritario goduto dall’albanese (lingua ufficiale nel Kosovo insieme al serbo-croato) furono chiuse le scuole di lingua albanese, furono rimpiazzati i funzionari amministrativi e gli insegnanti albanesi con personale fedele a Belgrado.

La minoranza albanese scese in piazza contro la politica discriminatoria di Belgrado e il governo filoserbo reagì con violenza: in due giorni di scontri morirono 21 manifestanti e oltre 120 furono i feriti. Fino al 1995 la protesta albanese pur violenta non si trasformò in lotta armata. Nel 1996 con l’entrata in scena dell’UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves) la resistenza albanese si trasformò in guerriglia. L’UCK nasce come organizzazione paramilitare dedita alla lotta armata e al traffico di stupefacenti. Fino al 1996 l’Ufficio legale del Dipartimento di Stato americano includerà l’UCK nella lista delle organizzazioni terroristiche e criminali. La guerriglia albanese tra il 1997 e il 1999 compirà migliaia attentati contro le forze armate e le istituzioni della Jugoslavia e la comunità serba.

La reazione di Belgrado fu dura, l’esercito serbo appoggiato dalle milizie paramilitari (Tigri di Arkan) tenterà di reprimere la guerriglia kosovara anche a costo di colpire la popolazione civile, già vittima delle violenze dei paramilitari serbi. L’8 marzo 1998 la polizia serba attaccò la roccaforte della guerriglia albanese a Drenica base del clan Adem Jashari, le vittime furono un’ottantina, donne e bambini compresi.

L’Ucraina tra nazionalismo banderista e separatismo russofono
Nel 1991 con la fine dell’Unione Sovietica l’Ucraina ottiene l’indipendenza e inizia il suo percorso di avvicinamento all’Occidente cercando di smarcarsi dalla sfera d’influenza russa. La rivoluzione di Maidan (22 febbraio 2014) porterà alla caduta del governo filorusso del presidente Viktor Janukovic, l’Ucraina si sposterà definitivamente nella sfera d’influenza euro-atlantica per sottrarsi a quella russa.

Per Mosca e per la minoranza russofona dell’Ucraina la deriva euro-atlantica di Kiev era inaccettabile. Nel Donbass, la popolazione russofona sostenuta da Mosca si organizzò militarmente è occupò i palazzi governativi, costituendo le Repubbliche indipendenti di Donesk e Lugansk. In Crimea, la popolazione russofona non ebbe bisogno di reagire perché il 27 febbraio del 2014 le truppe di Mosca occuparono la penisola e insediarono un governo filorusso. L’11 marzo il nuovo governo dichiarò l’indipendenza da Kiev e il 18 marzo con un referendum oltre il 90% della popolazione della Crimea votò per l’annessione alla Russia.
Le proteste della popolazione russofona non si limitarono al Donbass e alla Crimea, ma si estesero anche all’Ucraina meridionale. A Odessa il 2 maggio 2014, la protesta pacifica dei filorussi si trasformò in tragedia. I manifestanti filorussi furono attaccati da militanti del partito neofascista Pravyj Sektor (Settore Destro) armati di spranghe, asce e bastoni; per sfuggire all’aggressione cercarono riparo nella Casa dei Sindacati; ma bruciarono in un rogo provocato dal lancio di bottiglie molotov degli estremisti. Le vittime furono in totale 42 (34 uomini, 7 donne e un ragazzo di diciassette anni).

La reazione di Kiev verso i separatisti del Donbass fu la stessa di Belgrado verso i separatisti albanesi. Kiev per reprimere l’insurrezione e riprendere i territori perduti, inviò l’esercito affiancato da milizie paramilitari (i neonazisti del Battaglione Azov). In Ucraina come in Kosovo, le milizie paramilitari si resero responsabili di crimini guerra anche a danno della popolazione. La repressione dell’esercito di Kiev come quella dell’esercito di Belgrado provocarono vittime anche tra la popolazione civile. Nel Donbass filorusso, dall’aprile del 2014 al febbraio del 2022, le vittime furono oltre 14 mila, di queste oltre 9 mila erano civili. Una tragedia che lasciò indifferenti le cancellerie e i mass media occidentali che con sfacciata ipocrisia condannano l’aggressione russa.
L’intervento della Nato in Kosovo (24 marzo 1999 - 10 giugno 1999). La Nato attaccò la Serbia dopo il fallimento degli accordi di Rambollied (18 - 24 marzo 1999). Accordi che imponevano alla Serbia condizioni inique di pace: l’occupazione di parte del territorio (il Kosovo) da forze armate straniere (la Nato) con la possibilità di perderlo definitivamente attraverso un “referendum” (come poi avvenne). L’occupazione militare del territorio serbo da parte della Nato: <>. La perdita del Kosovo:<> (capitolo 8) Henry Kissinger espresse un giudizio lapidario su quest’accordo: <>. E aggiunse: <> (Henry Kissinger al Daily Telegraph, 28 giugno 1999).

Il 24 marzo 1999 la Nato attaccò la Serbia (Operazione Allied Force) e fu la seconda azione militare della Nato nei Balcani, dopo l’operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina. Diversamente da quest’ultima non fu autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; la Serbia e il Kosovo furono bombardati per 72 giorni, l’aviazione Alleata fece largo uso di proiettili all’uranio impoverito e di bombe a grappolo, ordigni micidiali come quelli russi che oggi seminano la morte in Ucraina e tanto indignano l’ipocrita Occidente. I bombardamenti della Nato sulla Serbia (Kosovo compreso) provocarono dalle 1200 alle 2500 vittime civili e oltre 12.000 feriti la distruzione d’infrastrutture civili (ponti, strade, ferrovie, convogli ferroviari, centrali elettriche) e dell’ambasciata cinese. A queste vittime vanno aggiunte le migliaia di morti per tumore provocati dall’uranio impoverito. Queste patologie furono definite “Sindrome dei Balcani” e colpirono più di 7.500 militari italiani, di cui oltre 372 sono deceduti.
I bombardamenti della Nato cessarono il 10 giugno del 1999 con l’Accordo di Kumanovo, la Serbia accettò di ritirare le proprie truppe dal Kosovo che fu occupato da una forza multinazionale guidata dalla Nato (KFOR). I bombardamenti della Nato e i crimini dell’UCK furono all’origine della più grande pulizia etnica dei Balcani: dei 360 mila serbi presenti in Kosovo prima del conflitto ne rimangono oggi circa 50 mila; oltre 400 le persone scomparse (in prevalenza serbi) e lo spettro del traffico di organi a danno prigionieri serbi (vedi il rapporto del deputato svizzero Dick Marty all’Assemblea del Consiglio d’Europa).

I referendum del Kosovo e dei territori ucraini occupati dalla Russia
In Kosovo come in Ucraina un referendum popolare deciderà il destino delle regioni contese.
Il 17 febbraio 2018 il Kosovo si autoproclamò indipendente dalla Serbia, nasceva quello che Pino Arlacchi, direttore dell’UNDCCP (ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine) definirà un “narco-Stato”, una nazione che si regge su attività illegali.
Il 16 marzo 2014 la Crimea votò a favore dell’annessione alla Russia; l’11 maggio del 2014 le Repubbliche di Donetsk e di Lugansk si autoproclamarono indipendenti da Kiev; il 30 settembre 2022 le Repubbliche di Donetsk e di Lugansk e le altre zone dell’Ucraina occupate da Mosca votarono per l’annessione alla Russia. Il risultato di questi referendum era scontato perché votò la minoranza separatista (gli albanesi in Kosovo e i russofoni in Crimea e nel Donbass) quella lealista (serbi del Kosovo e ucraini del Donbass e della Crimea) era fuggita a causa dalla guerra o delle persecuzioni dei separatisti albanesi e filorussi.

Il referendum del Kosovo e quelli delle provincie dell’Ucraina occupate da Mosca non hanno ottenuto l’unanime riconoscimento internazionale: l’indipendenza del Kosovo è stata riconosciuta solo da 98 Stati su 193; l’annessione russa dei territori ucraini da nessuna nazione. Il riconoscimento internazionale delle regioni separatiste è sempre condizionato dagli equilibri internazionali e da quelli dei singoli Paesi. La Cina non riconobbe l’indipendenza del Kosovo perché lo riteneva un pericoloso precedente per legittimare l’indipendenza del Tibet, della regione dello Xinjiang e di Taiwan. La Spagna non riconobbe il Kosovo perché vedeva un precedente per la Catalogna; la Grecia fece lo stesso, pensando all’indipendenza della turcofona Repubblica di Cipro Nord. La maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea riconobbero l’indipendenza del Kosovo per compiacere gli Stati Uniti (l’Italia) o per estendere la propria sfera di influenza ai Balcani (la Germania).

Donbass - Crimea e Kosovo
Donbass - Crimea e Kosovo sono fatti analoghi ma diversi per le motivazioni dell’intervento e per il destino delle aree contese.
Il Kosovo ottenne l’indipendenza ma non fu annesso all’Albania, benché abitato da una maggioranza albanese; il Donbass e la Crimea sono stati annessi alla Russia.
Gli Stati Uniti sono intervenuti in Kosovo a migliaia di chilometri dai loro confini per mantenere la posizione di unica potenza internazionale e non per difendere il proprio Paese da una minaccia esistenziale; e nemmeno per difendere una popolazione a loro affine o dei loro cittadini. Gli Stati Uniti sono intervenuti in Kosovo per accerchiare la Russia con l’allargamento a est della Nato, i Balcani erano una tappa fondamentale di questo processo (vedi la base di Camp Bondstell in Kosovo); colpire la Serbia, potenza egemone dei Balcani e storica alleata della Russia, un ostacolo agli interessi americani nella regione. Il conflitto balcanico come quello russo - ucraino sono parte della stessa partita, il controllo dell’Eurasia (l’Europa e l’Asia) qui si concentrano le risorse del Pianeta (energetiche, minerarie e alimentari) le imprese e la popolazione mondiale; qui sono nate le principali ideologie (marxismo, liberalismo, fascismo, socialdemocrazia) le tradizioni filosofiche e religiose (cristianesimo, islam, buddismo, confucianesimo, ecc.) che hanno influenzato la storia umana, le identità dei popoli e delle rispettive nazioni. Chi controlla l’Eurasia governa il mondo. Gli Stati Uniti rimarranno la potenza egemone del Pianeta fino a quando avranno il controllo dell’Eurasia: l’Hearland di Halford Mackinder e il Rimlad di John Spykman.
La Russia diversamente dagli Stati Uniti ha invaso l’Ucraina per motivazioni esistenziali e limitate alla propria sfera d’influenza (i Paesi confinanti e la popolazione russofona): impedire all’Ucraina di aderire alla Nato (art. 85 Costituzioni Ucraina) che Mosca considera una minaccia esistenziale (come furono per l’America i missili russi nella Crisi di Cuba del 1962); difendere la popolazione russofona delle repubbliche separatiste del Donbass che Mosca considera come dei propri cittadini; ottenere e mantenere il controllo delle zone russofone dell’Ucraina strategiche per la sicurezza di Mosca (Donbass e Crimea in particolare)

Il Caucaso come il Kosovo e l’Ucraina
Anche nel Caucaso come in Kosovo e in Ucraina una minoranza ottenne l’indipendenza con il sostegno di una potenza straniera. In Georgia gli osseti dell’Ossezia del Sud (9 aprile 1991) e gli abcasi dell’Abcasia (23 luglio 1992) dichiararono l’indipendenza da Tbilisi. Seguirono una serie di conflitti che portarono all’indipendenza delle provincie ribelli sostenute da Mosca: la prima guerra in Ossezia del Sud (5 gennaio 1991 - 24 giugno 1992) il conflitto abcaso georgiano (1991 - 1993) e la seconda guerra in Ossezia del Sud (1 - 12 agosto 2008). Mosca il 26 agosto 2008 riconobbe l’indipendenza dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud; il 5 settembre 2008 fu il turno del Nicaragua e il 15 giugno 2018 quello della Siria. Diversamente dal Donbass e dalla Crimea, all’indipendenza dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud non seguì l’annessione alla Russia; ma come con il Kosovo nacquero due nazioni indipendenti.
La storia tragicamente si “ripete”. Come in ogni conflitto sono migliaia le vittime civili dei bombardamenti, le bombe russe uccidono inermi cittadini ucraini, come quelle degli Stati Uniti e dei loro alleati in Iraq, in Libia, in Afghanistan e nei Balcani. Chi definisce Putin un “criminale” e invoca per la Russia un processo stile Norimberga; dovrebbe riservare questi giudizi anche agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Francia e ai loro rappresentanti (Bush, Obama, Clinton, Sarkozy, Blair, ecc.).

Giorgio Da Gai

Ultimo aggiornamento: 26/07/2024 18:00