ORMELLE (TV) - Arrivare a “il comun ditto la Campagna” , l’attuale località Stradon di Ormelle, è un po’ come tornare indietro nel tempo; infatti la fantasia, sollecitata dal fascino di quella che sembra un’istantanea d’altri tempi, accende l’immaginazione sulla vita che una volta si svolgeva tra cortili e campi , case e vigneti e sui valori quasi dispersi che le persone avevano in sé come pilastri sui quali si reggeva la comunità.
Il termine “Stradon” indica questo rettilineo di un’antica via che ebbe la funzione di segnare il confine tra la podesteria di Portobuffolé e quella di Oderzo all’epoca della Repubblica di Venezia.
Il mio interesse viene attratto inizialmente dalla barchessa che si staglia ancora imponente dietro filari di vite, testimonianza solitaria dall’aria nobile e malinconica di un’antica villa andata distrutta a causa di un incendio agli inizi dell’Ottocento e che vide succedersi diverse generazioni della famiglia patrizia dei Tiepolo di Sant’Aponal fino alla sua decadenza.
Qualche metro più avanti però è la chiesetta del Carmine a incuriosirmi; un po’ per quel suo uscire quasi a sorpresa dal silenzio della campagna con discrezione, quasi ad invitarti però ad entrare per offrirti uno spicchio della storia di questo Stradon. Le poche notizie storiche giunte fino a noi raccontano che la chiesa fu edificata a metà del Cinquecento dalla famiglia Tiepolo, decidendo di dedicarla alla Madonna. Ma da una fonte che si rifà ad una Visita Pastorale del 1592 il vescovo di Treviso annota che “no ga niente, né si fa niente”. L’edificio sacro fu restaurato diverse volte nel corso dei secoli e la Madonna veniva invocata affinché cessassero le frequenti grandinate sulla zona.
Ora questa chiesetta è il simbolo di una borgata, quasi messa a guardia della stessa, patrimonio artistico e baluardo della tradizione che accoglie il visitatore con quell’aura sacra che rasserena l’anima. Essa è una presenza consolante e incoraggiante, dove si prega per trovare pace, ma nel contempo si ritrova la forza per affrontare le avversità, così come la chiesetta che ha oltrepassato ogni episodio drammatico del tempo per rimanere al fianco della sua gente.
La chiesa ebbe successivamente due proprietari, i Galvagna (nell’Ottocento) e i Giol (nel Novecento) famiglia emigrata in America e poi rientrata ce veva acquistato tutti i terreni del posto nel 1930 . Nel 1970 con la fine della mezzadria la terra venne lottizzata e la chiesetta finì per essere abbandonata; la sua fine sembrava segnata, se non fosse stato per l’iniziativa di Pietro de Pra e di altri abitanti del posto, dopo aver parlato con la famiglia Giol, procedettero al restauro della chiesa. Il lavoro risultò così ben fatto che la signora Giol, invitata a vedere la chiesetta rimase così stupita del buon esito degli interventi di restauro da cedere la proprietà della stessa e offrire un assegno alle persone che tanto si erano adoperate per salvare questo significativo luogo di culto, meta di una fede viva e palpitante oltre che fulcro della borgata.
Ci fu perfino la visita del vicario del vescovo di Treviso Antonio Mistrorigo che ne rimase affascinato, ma oramai il lascito era stato fatto agli abitanti del posto come segno di gratitudine, con la certezza che se ne sarebbero presi cura.
La chiesa si presenta con una facciata molto semplice, ridipinta con grassello di calce, con un timpano al centro del quale sembra incastonata una figura a forma di stella, e due finte colonne ai fianchi della porta d’ingresso. Dopo aver camminato sul piccolo sagrato fatto con i sassi del fiume Piave, eccoci raggiungere l’interno, pavimentato come in origine, anche se rifatto in epoca più recente, ma pur sempre utilizzando gli stessi colori, mantenendo la stessa linea e lo stesso materiale, un marmo grezzo e cotto. La statua della Madonna posta sull’altare è stata donata dalla famiglia Marton in ricordo del figlio Delfino, scomparso precocemente nel 1951 a causa di una peritonite, e si trova in una nicchia, tra due eleganti colonne che sembrano richiamare allo stile corinzio, mentre tre Angeli (a destra, a sinistra e sopra la statua) completano con finezza la visione accogliente e materna della statua della Vergine. L’altare è stato fatto con lo stesso marmo utilizzato per realizzare l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Ormelle.
Appena entrati, sulla sinistra c’è il quadro che raffigura la Madonna del Carmine nella sua classica iconografia, e sul retro riserva una sorpresa non da poco, risalente ai primi anni ’60. Girando il quadro si possono leggere le firme di tutte le filandiere che un tempo lavoravano nella filanda della famiglia Giol a San Polo di Piave e che fecero un voto. Sembra che negli anni ’20 nel Novecento, quando la chiesa fu ricostruita, si siano succeduti alcuni anni di grandine che avevano funestato la zona. Il quadro è stato restaurato anni fa dal sig. Bruno De Luca.
Sul retro dell’altare, nella piccola sagrestia, si può vedere una targa posta a memoria del dott. Giovanni Giol, datata 26 luglio 1976, e tre quadri della Via Crucis, probabilmente del XIX° secolo . Sono la stazione 2, 3 e 11 salvate letteralmente da una signora del posto, Albina Ros, che all’epoca si trovava a Torino. Li salvò probabilmente da una fine infausta, mentre stavano restaurando una chiesa, e chissà quale fine sarà toccata alle rimanenti stazioni. La cura nel riprodurre i dettagli delle scene della Passione, l’abilità nel rappresentare volti e posture, e la finezza del tratto rivelano un certo grado di maestria dell’artista che le ha fatte, facendo pensare a opere di un certo valore che meriterebbero di essere valutate e magari valorizzate, pur essendo solo una piccola parte dell’intera Via Crucis.
Tornando in chiesa chiedo notizie del bel lampadario che fa bella mostra di sé, attirando lo sguardo all’insù. Come si desume dalle forme eleganti e dalle finiture particolarmente ricercate, fatto tutto in vetro soffiato, si pensa che giunga da Murano e fu una donazione di un parroco del tempo che pensò bene di donare anche due applique in abbinata per impreziosire l’unica bella navata della chiesa. Un altro lampadario simile si trova nella chiesa di Ormelle, forse anch’esso dono dello stesso parroco che frequentava amici veneziani. Questo sostituisce un vecchio lampadario fatto in ottone e dotato di dodici lampadine che poi fu portato in canonica a Ormelle.
La festa della Madonna del Carmine è il 16 luglio ed un tempo si facevano anche le rogazioni di maggio; era un punto fondamentale di ritrovo per la comunità che si ritrovava per le funzioni religiose, volte a chiedere abbondanza nei raccolti, ma aveva e ha tutt’ora una funzione sociale riuscendo a far incontrare le persone del Stradon tra una preghiera, una chiacchierata e naturalmente la cura dell’edificio sacro. In chiesa è presente anche lo stendardo dipinto presumibilmente dalla sig.ra Stefania De March.
Sul retro della chiesa resta ancora come una vedetta instancabile la piccola campanella, essa un tempo riempiva l’aria delle sue note ed accompagnava il lavoro nei campi e nelle case, intonando l’armonioso inno dell’Angelus.
Ringrazio tutte le famiglie dello "Stradon" che mi ha permesso di visitare la chiesetta e mi hanno raccontato la storia di questo sito sacro. Tutti ci tengono a ricordare che, se quella chiesa esiste ancora, è stato grazie all'amore che nutrono per questo luogo e allo spirito di iniziativa della contrada che ha permesso l'avvio dei lavori di restauro. Così facendo essa non scomparirà nell’oblio del tempo, ma rimane lì a sorvegliare, custodire e accogliere i suoi fedeli e i visitatori che desiderano conoscere la storia e le tradizioni del territorio. Questo sacello non solo è l’emblema di una devozione popolare mai tramontata, ma funge anche da centro di valenza sociale. Oseremo dire che essa è una piccola ma significativa agorà dove, dopo la preghiera, il profumo di cera delle candele accese esce dalla soglia della chiesa per accompagnare gli abitanti del Stradon, mentre tra un saluto e qualche parola scambiata sul sagrato o passando per strada si ritrovano com’era un tempo, in un clima di cordialità con la volontà di sentirsi ancora comunità.
Tutti riconoscono nella chiesetta del Carmine un punto fermo della loro vita, qualcosa che appartiene loro sia fisicamente che sentimentalmente e che sentono di dover lasciare alle prossime generazioni cosicché questa presenza sia sempre viva e la sua aura mistica e materna sia pronta ad orientare e accogliere, a raccontare il passato e a guidare le anime nel futuro che ci attende. Perché oltre ad essere una chiesa, essa permane come testimone di vicissitudini positive e negative che hanno forgiato il paesaggio e i caratteri forti e orgogliosi dei suoi fedeli e sa narrare in silenzio tutto ciò che ha attraversato, affinché nulla sia dimenticato e tutto diventi patrimonio di ogni singola persona che vivrà lungo questo tratto di strada, trasformatosi nel tempo come un’unica grande famiglia, dove pulsa l’amore per le proprie origini e la volontà di preservarle come segno di profonda fede.
Certo nessuno dubita di avere lo sguardo della Vergine Maria che maternamente veglia sulle famiglie, sui campi, su quella natura che in una giornata di sole svela tutta la sua bellezza, la stessa che florida e rigogliosa incornicia da sempre con spontaneità e tenerezza la chiesa del Stradon.
Monia Pin