Dai lettori

La croce diventi simbolo di pace

di Emilio Del Bel Belluz

Non è facile oggigiorno trovare le parole per far riflettere le persone sul difficile e complicato periodo che stiamo attraversando, anche perché tutti sono presi dal ritmo frenetico del vivere che li porta ad interessarsi ad altro, dimenticando la nostra storia, i valori intramontabili e le nostre radici cristiane. I mezzi d’informazione sembrano fornirci la verità, invece, ci presentano una verità dettata dal pensiero unico.

Molte volte è bene allontanarsi da questo sentiero che ci viene proposto per cercare una boccata d’aria pura, una coscienza critica. Uno scrittore una volta disse che cercava la sua anima salendo la montagna dove il mondo gli sembrava più pulito, dove l’uomo non poteva arrivare. In questa sua salita si sentiva più vicino a Dio.

Mentre scrivo questo articolo, ho nel cuore una notizia che mi ha molto colpito: la distruzione di una Madonna che era stata posta sul picco di una montagna dalle madri, a ricordo dei figli caduti in guerra. La Mamma del buon Gesù che conquistava il cuore di chi la osservava. Queste madri ora hanno raggiunto i loro figli, li hanno abbracciati nel cielo dove Dio accoglie tutti. Quelli che hanno fatto l’orribile gesto, non hanno pensato al male che hanno procurato a quelli che vogliono ricordare che le guerre sono sempre terribili ed inutili. Da qualche tempo i casi di distruzione e sfregio degli oggetti sacri sono aumentati. Nelle montagne non sono più gradite le croci che si innalzano sul paesaggio circostante e che richiamano alla riflessione e alla preghiera.

Le notizie di questi orribili scempi passano in secondo piano. Non riesco a comprendere da dove derivi tutto quest’odio nei confronti dei simboli sacri. Ho nel cuore la speranza di poter innalzare sulla mia terra una grande croce che possa essere vista dalla gente che passa, e vorrei che il ferro per costruirla provenisse da materiale bellico. “ Nel 1902 l’Argentina e il Cile stavano per dichiararsi la guerra, in seguito a una questione di delimitazioni di confini. Ma una grande e generosa idea illuminò d’improvviso i governanti delle due nazioni: quella di rimettere la definizione della questione, a un arbitrato, piuttosto che alle armi. Infatti fu raggiunto un accordo; e l’Argentina fece dono al Cile dei cannoni che aveva comprato per la guerra che stava per scoppiare. Dopo averli fusi, con il loro bronzo il Cile fece innalzare una statua colossale di Cristo, sopra un picco delle Ande. Sotto la statua si legge la seguente iscrizione: Queste rocce eterne saranno ridotte in polvere, prima che noi, uomini dell’Argentina e del Cile, spezziamo gli accordi pacifici, che ci siamo giurati ai piedi di Cristo Redentore. ( Da : Sussidi, III, 1950).

Vorrei dedicare a S. Leopoldo Mandic’ e alla Regina Elena di Savoia la croce che desidererei issare sulla mia terra. Qualcuno si chiederà il motivo di questa mia scelta. Perché entrambi sono stati portatori di pace e di grande umanità. San Leopoldo visse tutta la sua vita ad aiutare gli altri, spese tutto il suo tempo in una stanzetta a confessare e a donare il suo amore, conforto e speranza a tutti coloro che si rivolgevano a Lui. San Leopoldo aveva una frase che in qualche modo riassumeva tutta la sua vita e che ho fatto scrivere in un grande affresco, opera dell’illustre artista mottense Antonio Lippi, in un capitello: “ Fede abbiate fede. Dio è medico e medicina”. Spese tutta la sua vita aiutando gli altri, non si spostò dalla sua cella dove confessava per decenni, non chiedeva nulla a nessuno. Visse in povertà e con umiltà. Anche la Regina Elena del Montenegro, moglie del Re Vittorio Emanuele III di Savoia, era nata come San Leopoldo in una terra difficile e povera: il Montenegro. Passò la sua vita a spendersi per i poveri, per le persone che soffrivano.

Fu una Regina che era sempre presente dove c’era bisogno, dove si doveva consolare qualcuno. I suoi cari amici erano le persone che stavano ai margini della società. Una donna che fu sempre presente assieme al consorte nella varie e terribili calamità che colpirono l’Italia. A Messina c’è un monumento a Lei dedicato per l’opera incessante che prestò alla popolazione colpita dal terribile terremoto del 1908. Aprì il Quirinale dove viveva per trasformarlo in un ospedale durante la Grande Guerra. La Regina Elena passava tutto il suo tempo vicino ai soldati che erano stati feriti, era la loro Madre, era l’infermiera che cercava di lenire il dolore.

Era una donna che si sentiva trasportare con amore verso i soldati come se fossero i propri figli. Aveva anche una particolare attenzione per i bambini, e per quelle famiglie con figli che erano poco abbienti. Per raccogliere il denaro per la sue opere benefiche si inventava qualsiasi cosa. Una volta stampò in migliaia di copie la sua foto con dedica per poi venderle e ricavarne del denaro da dare in beneficenza. In questo tempo così difficile, in cui le guerre predominano in molti luoghi del mondo, ci vorrebbe la buona Regina Elena perché prenderebbe la penna in mano per scrivere a quelli che contano e decidono le sorti del mondo, di cessare immediatamente le guerre. Infatti, nel 1939 scrisse una lettera alle Regine dei Paesi non ancora scesi in guerra affinché, invocando il grande valore della pace, desistessero dalle loro intenzioni belliche. Era una donna che non aveva paura, una donna che si considerava la mamma degli italiani, soprattutto di quelli che stavano nella disperazione. Il suo cuore non conosceva la parola odio, emanava solo amore.

Qualcuno disse che con la Regina Elena non si poteva parlare che dei poveri da aiutare, perché era lo scopo della sua vita. Non ebbe un’esistenza felice, non le fu risparmiato nulla. Il dolore dell’esilio fu una delle spine più difficili da sopportare, ma non si disperò. Aveva un compito da portare a termine che era quello di stare con la gente che aveva bisogno d’aiuto. Quella donna che non si era mai piegata al destino non lo fece neppure nell’ ultimo tempo della sua vita, quando ammalata, non pensava a se stessa, ma ad aiutare le persone che soffrivano. Si prodigò con abnegazione anche quando viveva a Montpellier. Tra le sue opere di carità, possiamo annoverare quella rivolta alle piccole di un orfanatrofio tenuto da alcune suore della Sardegna. La Sovrana frequentava quel posto, cercando di fare la mamma a molte di quelle bambine sole.

Quando arrivava nell’istituito era una festa e veniva accolta come una mamma, accostandosi ad ogni bambina, portando loro quelle attenzioni di cui avevano bisogno. Vorrei ora riportare la riflessione che mi inviò il mio professore di lettere, Danillo Miglioranza e che riassume tutta la sofferenza patita dalla Sovrana: ”Elena di Savoia, come Maria di Nazaret, ha subito l’esilio dopo aver sperimentato la mancata riconoscenza dei loro popoli per il bene ricevuto. Ed entrambe hanno pianto per la condanna ingiusta e la morte di un loro figliolo”. Per tutto questo, dopo la sua morte, è stata avviata la causa di beatificazione che spero si concluda al più presto, visto anche il notevole interesse suscitato attorno alla sua figura in questi ultimi tempi, da parte della stampa nazionale.

Emilio Del Bel Belluz



Ultimo aggiornamento: 25/04/2025 01:58