Editoriali

RIFLESSIONI DOPO L'UCCISIONE DI KIRK
Ricordi di gioventù, "Va fatto fuori"

di Gianluca Versace

Dopo l'atroce martirio di Charlie Kirk, in Usa, come per un (forse) auto referenziale riflesso condizionato, mi è tornato in mente un episodio che era accaduto al tempo in cui, assieme ad una cordata di amici "volenterosi", nella mia città natale avevo creato la prima tv locale, Tele Gsg.
Di quella "antenna locale", ero l'anima, l'ideatore ed il conduttore unico: a quel punto, avevo principiato a fare delle lunghe, appassionate maratone televisive. Con tanto di filo diretto telefonico con i telespettatori, su vari temi che proponevo. 

Come diceva Kirk, lo slogan era pressocché identico: "prove me wrong", ovvero provami tu che mi sbaglio, che ho torto, e fallo, anzi facciamolo attraverso il confronto dialettico franco, diretto e senza filtri né censure.
E il tema, l'argomento che si era imposto, anche grazie al contributo di un bravissimo storico friulano, Marco Pirina, era quello delle foibe. Cioè, delle decine di migliaia di nostri connazionali torturati, seviziati, massacrati, stuprati, mutilati e gettati nelle foibe carsiche dai comunisti di Tito, in combutta e complicità con i "compagni" italiani.

Non facevamo chiacchiere a vanvera: portavamo dati e numeri precisi e circostanziati, corredandoli di nomi e cognomi.
Resto convinto che il compito di chi fa il mio mestiere sia quello di seguire e di snidare tutto ciò che non si sa o che si tace. Sia quello di coordinare e riordinare fatti anche lontani e occultati. Sia mettere insieme in modo organico e logico i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro della realtà. Sia, in una parola, ristabilire una logica omogenea e lineare là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la prepotenza, il sopruso, l'intimidazione, la follia e il mistero.

Poi, un giorno, mi era venuto a trovare in redazione E., il giovane e già influente segretario del Pci locale. Che, senza giri di parole, mi aveva minacciato: "O la smetti, o farai una brutta fine".
Ma io non avevo affatto smesso (chi mi conosce sa che sarebbe impossibile dammi ordini o cercare di intimidirmi: se ritengo che prima della mia sicurezza ed incolumità, venga la mia coscienza, la mia liberta e la verità, non ci sono santi...).

In seguito, un caro amico, molto allarmato, mi aveva raccontato di aver saputo che, in certi ambienti politici, si ripetevano discorsi tipo "Versace va messo a tacere". Insomma, aveva aggiunto, provando pure lui a farmi desistere, "guarda che questi ti fanno fuori".
Questi: ovviamente, i democratici e anti fascisti.

Non mi spararono pallottole con sopra inciso "sei uno sporco fascista come gli infoibati", né "bella ciao".
"Questi", pertanto, usarono altri metodi, altri sistemi, indubbiamente efficaci per "farmi fuori". Per mettermi a tacere, visto che a loro dire "li stavo sputtanando", che insomma stavo infangando la "gloriosa memoria" dei partigiani, titini e italiani.
Se non la pensi come loro e osi metterli in discussione, sei da eliminare, senza alcuno scrupolo.
E lo fecero, impietosamente e senza mezze misure: tutto quello che sono e soprattutto ciò che non sono, oggidì, dipende oggettivamente e direttamente da quello che accadde, trentatre anni fa.
Semplicemente, non posso raccontarlo ogni volta, a tutti quelli - e sono tanti - che non si capacitano proprio di una mia "carriera" limitata e livellata in basso. Non è un alibi, è storia.

E, ma guarda un pò, sono stato persino fortunato: perché, a differenza del povero Charlie Kirk, io posso ancora ricordarlo. E raccontarlo.
Perché come scrive Leonardo Sciascia, nel suo "Affaire Moro": la frase più mostruosa di tutte, qualcuno è morto al "momento giusto".

Gianluca Versace
Giornalista e Scrittore

Ultimo aggiornamento: 13/11/2025 14:27